La semplificazione fiscale impostata non funziona. Breve analisi.

Flash NewsErmetico ma non troppo, il titolo, poiché non è difficile interpretarne il senso se riferito al tema della semplificazione fiscale e ai criteri ai quali il legislatore e l’Amministrazione Finanziaria si sono ispirati

(da RatioMattino di Alessandro Pratesi) 

Chi esercita la professione economico–contabile sa perfettamente che ogni qualvolta si ipotizza o si asserisce di aver realizzato una semplificazione tributaria occorre prepararsi al peggio. I risultati sono, spesso, di impatto minimale, se non di segno opposto rispetto alle premesse. E questo (presupponendo la buonafede di chi legifera e regolamenta la res publica) per un motivo semplice, di una banalità unica:

chi decide, salvo rare eccezioni, non ha la minima idea di cosa significhi “lavorare” nel cosiddetto “mondo reale”, ossia trasformare le disposizioni di legge in documenti, dichiarazioni, istanze o altro.

In altri termini, le previsioni astratte e teoriche, poi trasformate in legge, non tengono in conto alcuno le difficoltà operative che devono affrontare e risolvere gli operatori del settore. Ribadita l’assenza di malafede, resta allora l’ignoranza, nel senso proprio del termine: non sapere, non conoscere. Anche se, a ben vedere, il lemma potrebbe assumere anche un altro significato, ossia fingere di non conoscere. Il che sarebbe ancora peggiore. Così, a campione, analizziamo alcune (presunte) semplificazioni.

Iniziamo dalla Certificazione Unica (CU), i cui dati, in larga misura, dovranno poi essere ancora indicati nel modello 770. Doppio lavoro e chiara violazione dello Statuto del contribuente che prevede (art. 6, c. 4 L. 212/2000) che “Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente”.

Che dire, poi, del modello 730 precompilato? Nonostante le smentite di circostanza, l’Agenzia delle Entrate bene farebbe a prendere atto del fallimento pressoché totale dell’operazione: dati in larga misura errati e, comunque, precompilazione incompleta; sanzioni oggettivamente illogiche a carico degli intermediari e – ultima perla – addirittura la sanzione per dichiarazione infedele, a carico del contribuente e/o dell’intermediario, qualora il modello precompilato contenga dati errati e sia accettato senza correzioni. Evidentemente, anche in questo caso, l’efficacia dell’art. 10, c. 2 del menzionato Statuto è paragonabile a quello delle grida di manzoniana memoria. La norma, di piana interpretazione, recita: “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell’amministrazione stessa”.

Infine, gli studi di settore. In cronico ritardo, sempre più astrusi e avulsi dal concetto della semplicità e in totale dispregio dell’art. 6, c. 3 dello Statuto: “L’amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione siano messi a disposizione del contribuente in tempi utili e siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria e che il contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli”. Per le valutazioni del caso si legga il documento illustrativo riguardante la metodologia utilizza, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 21.05.2015, S.O. n. 22.

Dunque: armiamoci e partite!!!

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