Fondo perduto Covid e limiti U.E.: che fare?

– § – FONDO PERDUTO E LIMITI UE: CHE FARE? – § –

Il fondo perduto è veramente disponibile per tutte le imprese? La risposta è “decisamente no” e occorre anche domandarsi quali parametri occorrano per una corretta valutazione

Al momento della stesura di questo intervento, dal MEF giunge notizia dei primi accrediti dei contributi a fondo perduto di cui all’articolo 25 del DL 19.05.2020, n.34.

Dopo la nota Circolare dell’AdE n.15 del 13.06.2020 e dopo la messa a disposizione della procedura telematica per l’inoltro delle istanze (15.06.2020), si è aperto il cantiere per i titolari di Partita Iva (aventi specifici requisiti, non oggetto di questo intervento).

Un aspetto che sta impegnando moltissimi professionisti nella loro attività di supporto ai propri clienti è dato dal dover, da un lato, interpretare una norma farraginosa, dall’altro, illustrare un aspetto alquanto ostico e difficile per gli stessi operatori in quanto esclude una serie di soggetti che “non se lo aspettano” e che si porta dietro responsabilità gravose.
Il tutto posto a confronto con qualsiasi forma di comunicazione positiva che fonti di governo stanno diffondendo circa la “semplicità e l’efficienza” delle procedure.

Il riferimento di questo intervento è a quanto riportato nella circolare 15/E l’Agenzia delle Entrate la quale dedica un paragrafo alla compatibilità tra i contributi a fondo perduto e la normativa sugli aiuti di Stato prevista in sede europea esplicitando una sorta di definizione restrittiva dei requisiti soggettivi per usufruire del contributo.

In pratica è un “NO” alle “imprese già in difficoltà” al 31 dicembre 2019. Cosa vuol dire? Vuol dire che i contributi a fondo perduto non possono essere concessi a imprese che si trovavano già in difficoltà il 31 dicembre 2019 in base alla definizione di cui all’articolo 2, punto 18, del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato (GU L 187 del 26.6.2014, pag. 1). Vediamo quali sono i soggetti e come poter interpretare le disposizioni.

Con questo intervento, senza alcuna ambizione di esaustività, considerata la carenza di riferimenti per una analisi certa, proviamo a illustrare i punti oscuri di tale parte della norma.

LA DEFINIZIONE DI PMI
La definizione di PMI la troviamo all’articolo 2, dell’allegato 1, al regolamento sopra citato:
Art.2 – Effettivi e soglie finanziarie che definiscono le categorie di imprese
1. La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di Eur e/o il cui bilancio annuo non supera i 43 milioni di Eur
2. All’interno della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e che realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di Eur
3. All’interno della categoria delle PMI, si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e che realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni Eur

I SOGGETTI ESCLUSI PER “PRESENZA DI CRISI”
Tra i soggetti esclusi dai contributi a fondo perduto si dovranno aggiungere le seguenti categorie, individuate dal punto 18) dell’articolo 2 del suddetto regolamento europeo ovvero:

  1. società a responsabilità limitata (diverse dalle PMI costituitesi da meno di tre anni o, ai fini dell’ammissibilità a beneficiare di aiuti al finanziamento del rischio, dalle PMI nei sette anni dalla prima vendita commerciale ammissibili a beneficiare di investimenti per il finanziamento del rischio a seguito della due diligence da parte dell’intermediario finanziario selezionato), qualora abbia perso più della metà del capitale sociale sottoscritto a causa di perdite cumulate.
    Ciò si verifica quando la deduzione delle perdite cumulate dalle riserve (e da tutte le altre voci generalmente considerate come parte dei fondi propri della società) dà luogo a un importo cumulativo negativo superiore alla metà del capitale sociale sottoscritto. Ai fini della presente disposizione, per «società a responsabilità limitata» si intendono in particolare le tipologie di imprese di cui all’allegato I della direttiva 2013/34/UE (1) e, se del caso, il «capitale sociale» comprende eventuali premi di emissione;
  2. nel caso di società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società (diverse dalle PMI costituitesi da meno di tre anni o, ai fini dell’ammissibilità a beneficiare di aiuti al finanziamento del rischio, dalle PMI nei sette anni dalla prima vendita commerciale ammissibili a beneficiare di investimenti per il finanziamento del rischio a seguito della due diligence da parte dell’intermediario finanziario selezionato), qualora abbia perso più della metà dei fondi propri, quali indicati nei conti della società, a causa di perdite cumulate. Ai fini della presente disposizione, per «società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società» si intendono in particolare le tipologie di imprese di cui all’allegato II della direttiva 2013/34/UE;
  3. impresa oggetto di procedura concorsuale per insolvenza o soddisfi le condizioni previste dal diritto nazionale per l’apertura nei suoi confronti di una tale procedura su richiesta dei suoi creditori;
  4. impresa che abbia ricevuto un aiuto per il salvataggio e non abbia ancora rimborsato il prestito o revocato la garanzia, o abbia ricevuto un aiuto per la ristrutturazione e sia ancora soggetta a un piano di ristrutturazione;
  5. impresa diversa da una PMI, qualora, negli ultimi due anni:
    • il rapporto debito/patrimonio netto contabile dell’impresa sia stato superiore a 7,5;
    • il quoziente di copertura degli interessi dell’impresa (EBITDA/interessi) sia stato inferiore a 1,0.

QUALI PARAMETRI?
Il primo parametro è quello che rende (di fatto) impossibile determinare il dato richiesto e i soggetti che hanno questa impossibilità, allo stato attuale, sono tutti quei soggetti che adottano un regime contabile ai fini della tenuta delle scritture contabili che non sia quello ordinario.
Se non interviene un chiarimento, questa impossibilità costituisce un altissimo rischio.

Quali sono, allora, i parametri per gli “ordinari”? Vediamoli:

  • TUTTE LE PMI (punti 3 e 4) – Le casistiche non necessitano di chiarimenti particolari;
  • IMPRESE CHE NON RIENTRANO TRA LE PMI (punto 5) – Sono le imprese che superano i limiti di cui alla definizione di PMI. La casistica non necessita di chiarimenti in quanto il limite per aver diritto alla richiesta del contributo è di 5 milioni di ricavi 2019;
  • SRL (punto 1) – Stando al tenore letterale, il parametro principale di riferimento è il Capitale Sociale sottoscritto (anche se non versato), ma si tiene conto anche delle riserve. Quindi, si procede ad una somma delle riserve se ne sottrae le perdite e si pone a confronto l’importo con il Capitale Sociale e tale importo non deve essere superiore alla metà dello stesso Capitale Sociale;
  • SOCIETA’ DI PERSONE (punto 2) – E’ il caso più complesso ai fini del calcolo. Per quale motivo? “Il prelevamento di acconti sugli utili in corso di formazione da parte dei soci di società personali è un fenomeno assai frequente in quanto si ritiene, a torto o a ragione, che il carattere personale del rapporto tra socio e società nonché le minori formalità rispetto all’ambito delle società di capitali rendano possibile, o quantomeno non illecita, questa operazione” (Euroconference, Luca Caramaschi).
    Detto questo, per questa tipologia di soggetti occorre fare delle considerazioni a parte e cercare di comprendere i reali punti di riferimento.

IL CASO DELLE SOCIETA’ DI PERSONE IN CONTABILITA’ ORDINARIA
Senza entrare nei dettagli di tutti i riferimenti derivanti dalla disposizioni civilistiche, preme ricordare che, “in base all’articolo 2627 del Codice Civile, gli amministratori che ripartiscono acconti sugli utili che non possono essere distribuiti, in quanto il rendiconto non è stato ancora approvato, eseguono comportamenti che rischiano di essere penalmente rilevanti. Da tale delicata considerazione emerge che un rimedio assolutamente consigliabile per eliminare l’illecito è quello di prevedere negli statuti delle società semplici l’esplicita clausola che permette l’erogazione degli acconti sugli utili” (Euroconference, Luca Caramaschi).

Il tema, però, è collegato al contributo a fondo perduto e al parametro che consenta di verificare il criterio di esclusione di cui al punto 2 precedente.

In sintesi, dovendo considerare che la definizione UE non cita le riserve formatesi da utili, possiamo sostenere, in primis, che i “fondi propri” corrispondono al Capitale Sociale, o più esattamente ciò che è dato dalla somma dei conferimenti iniziali di ciascun socio e il valore ad essi attribuito (da definizione del Codice Civile) ed eventuali aumenti o riduzioni successive. Ai “fondi propri”, considerato, si ripete, che il regolamento UE non ne fa cenno, possiamo andare a sommare gli utili formatisi nel tempo. A ciò, in analogia di quanto previsto con le SRL, si sottraggono le perdite anch’esse formatesi nel tempo per avere un valore identificabile nel Patrimonio Netto (incompleto, come vedremo) e poi si pone a confronto il risultato con i “fondi propri”, risultato che non deve superare la metà degli stessi “fondi propri”.

In sostanza, come detto, siamo in presenza di un Patrimonio Netto del tutto simile a quello descritto per le SRL. Ma siamo sicuri che questo sia esattamente il parametro? A parere di chi scrive, no, per due motivi.

Il primo è una domanda: “ma se i fondi propri sono la somma dei conferimenti e degli utili il parametro è diverso rispetto a metterlo a confronto con solo i conferimenti, intesi come Capitale Sociale e intesi come analogia al calcolo delle SRL?”. Indubbiamente occorrerebbe un chiarimento, ma di fatto la definizione UE non cita le riserve di società di persone formatesi da utili. Ovvio che il risultato cambia se tra i “fondi propri” sommiamo gli utili non ancora effettivamente distribuiti (indipendentemente dalla regola fiscale della “trasparenza reddituale”) o se tali utili li consideriamo riserve da portare a somma algebrica con le perdite (come per le SRL) e poi a confronto con il Capitale Sociale (conferimenti).

Il secondo è dato dalla presenza di prelevamenti soci in acconto di utili (tralasciando la presenza o l’assenza delle condizioni che consentano tale anticipo) e anche dei versamenti da parte degli stessi (di norma infruttiferi). Allora l’altra domanda è: “si deve tener conto di queste voci potenzialmente presenti nello Stato Patrimoniale?”. La risposta, a parere di chi scrive, è “si” ed esiste un parametro che potrebbe confermare di tale tesi.

Il riferimento è al quadro RS del Modello Unico SP e più esattamente il Rigo RS 1007 (versione Unico/2020, anno di imposta 2019).

Il rigo in questione lo troviamo nel prospetto riportato nel quadro RS predisposto per le società di persone in contabilità ordinaria le quali devono trascrivere i loro “Dati di bilancio”: “Nel prospetto vanno indicate le voci di bilancio risultanti dallo schema di stato patrimoniale, redatto alla fine dell’esercizio, secondo i criteri indicati nell’articolo 2424 del codice civile….

Le istruzioni al rigo RS 107 – Patrimonio Netto riportano: “va indicato il valore del patrimonio netto risultante dal bilancio alla fine dell’esercizio. Tale valore è pari al valore nominale delle quote di partecipazione sottoscritte dai soci, maggiorato dell’ammontare delle riserve volontarie e dei versamenti in conto capitale da parte dei soci, diminuito degli anticipi a soci per utili, aumentato degli utili (o diminuito delle perdite) portati a nuovo, aumentato degli utili (o diminuito delle perdite) dell’esercizio. Nel caso in cui tale valore risulti di segno negativo, l’importo da indicare va preceduto dal segno meno “–””.

Alla luce di quanto sopra, non è difficile immaginare che uno dei punti di riferimento che l’AdE potrebbe prendere per verificare un potenziale stato di difficoltà al 31.12.2019 giunga proprio dalle dichiarazioni dei redditi in corso di predisposizione. Forse potrebbe non farlo, chissà, ma certamente quel dato costituisce un indicatore particolarmente importante.

LE SANZIONI: PESANTISSIME E PERICOLOSISSIME
Proprio a causa delle sanzioni e di tutte le problematiche sopra esposte, nonostante i proclami sulla “semplicità” in corso, è richiesta la massima attenzione alla legittimità della domanda dei contributi a fondo perduto da presentare all’Agenzia delle Entrate.

L’articolo 25 del Decreto Rilancio richiama l’articolo 13, comma 5, del Decreto Legislativo numero 471/1997, il quale prevede che:
Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi.
Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del DPR 29.091973, n.600, e all’articolo 54-bis del DPR 26.10.1972, n.633”.

Non solo, ma a quanto sopra si aggiungono anche le conseguenze penali:
– reclusione da 6 a 3 anni;
– sanzione amministrativa da 5.164,00 euro a 25.822,00 euro, con un massimo di tre volte il contributo non spettante, qualora il contributo erogato sia di importo inferiore a 4.000,00 euro.

Non solo (ancora), ma qualsiasi documento necessario al controllo per la corretta fruizione del contributo, devono essere conservati per almeno 8 anni dalla effettiva fruizione, pertanto fino al 31.12.2028.

Meglio riflettere.

(Dott.Rag.Mirco Comparini – Ragioniere Commercialista – Revisore Legale – Consulente al Franchising – Giornalista Pubblicista)

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