Prelievo forzoso o «bail-in». Una pericolosa rivoluzione? Tra il vero e il falso

La nuova procedura di gestione delle crisi bancarie in vigore dal primo gennaio 2016 cambierà rischi, costi e benefici. Alcune indicazioni e precisazioni su una disposizione che sta preoccupando molti e sulla quale si sono innescate anche alcune imprecisioni a scopi politici, fermo rimanendo la fondatezza dei timori.

Flash NewsIn considerazione di alcune domande formulate dalla clientela e che hanno manifestato forte preoccupazione, lo Studio Comparini & Russo sintetizza alcuni aspetti fondamentali del dibattuto provvedimento. Cos’è il “bail-in” o comunemente, ma un po’ impropriamente detto “prelievo forzoso”. Per “bail-in” si intende il complesso delle pratiche di salvataggio dall’interno delle banche in situazione di crisi. In una situazione di difficoltà come quella attuale, infatti, l’Unione Europea è corsa ai ripari, puntando a istituire meccanismi che – oltre a prevenire la crisi del sistema bancario – risolvano rapidamente casi concreti che potrebbero verificarsi nel futuro prossimo. Nelle scorse settimane l’Italia ha recepito questa direttiva europea del 2014 (Direttiva 2014/59/UE) che appunto ha istituito il quadro di risanamento: approvato con il DDL n.1758 dal Senato è oggi 2 luglio 2015 ha ricevuto il via libera dalla Camera. Vediamo.

La decisione di formulare una strategia pratica in caso di crisi è, chiaramente, legata alle vicissitudini più recenti, che hanno visto fallimenti bancari e tentativi di salvataggio da parte dei governi nazionali, che hanno di fatto indebolito l’intero sistema bancario europeo. Con un danno finale su tutti i contribuenti che si sono trovati addosso un debito pubblico più alto.

In estrema sintesi, anziché far pagare tutti i cittadini, si sceglie di ripartire il danno tra chi ha investito (e guadagnato) nella banca in crisi. Ripartizione, questa, che li trasforma in creditori (fino all’8% delle passività della banca) e li obbliga a contribuire, con un prelievo forzoso, secondo una stretta gerarchia:

  1. prima gli azionisti;
  2. poi gli obbligazionisti junior;
  3. poi gli obbligazionisti senior;
  4. e – solo alla fine, è bene ricordarlo – i titolari di depositi oltre i 100.000 euro (risulta che in alcuni paesi, esempio Germania, tale soglia sia 30.000 euro).

E’ la soglia di prelievo sui conti correnti e resta sempre quella garantita dal Fondo interbancario di tutela dei depositi e

non è vero, come molti politici stanno divulgando, che verranno toccati stipendi e pensioni dei cittadini dal primo gennaio 2016.

Vi sono, poi, opinioni anche di tipo economico con le quali si sostiene che le varie norme (finanziarie e no, ma soprattutto finanziaria) che sono in corso di attuazione nei vari paesi UE tendono a

socializzare le perdite e privatizzare i profitti.

Queste sono considerazioni politiche e certamente anche economiche che possono essere oggetto di analisi, dibattito  e valutazione in forma soggettiva da ogni contribuente e da ogni cittadino.

Ed è chiaro ed ovvio che preoccupazione possa esserci. La stessa dichiarazione del Governatore delle Banca d’Italia fa trasparire ciò: «Gli investitori devono essere consapevoli dei rischi sottostanti il nuovo sistema di gestione delle crisi – ha messo in guarda il Governatore -. La clientela, specie quella meno in grado di selezionare correttamente i rischi, andrà adeguatamente informata del fatto che, nel caso detenga strumenti diversi da depositi e titoli garantiti, potrebbe dover contribuire alla risoluzione di una banca». Di qui la proposta di Visco: «Nel nuovo contesto va valutata l’opportunità di iniziative volte a riservare l’acquisto degli strumenti più rischiosi a investitori professionali».

Ma la vera preoccupazione è che il “bai-in” non riguarda solo chi investe sui titoli bancari, che siano azionari o titoli obbligazionari, ma anche tutti i correntisti che prima di aprire un conto devono informarsi sullo stato di salute della banca e qui il dibattito prende fuoco.

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